I blog bufala
Riposto di seguito un articolo a firma di Carlo Gubitosa, che sta circolando sulla mailing list di San Libero.
Personalmente non codivido la chiusa dell'articolo: purtroppo a mio avviso queste strategie di mercato pagano, soprattutto verso tutti quei giovani, più o meno adolescenti, che sono alla ricerca di possibilità di espressione (come già sottolineato in un altro mio post).
Blog-bufale. Culture giovanili, ribellione, voglia di liberta': sono
questi i nuovi grimaldelli utilizzati dai piazzisti pubblicitari per
far breccia nel mercato degli adolescenti con tattiche di vera e
propria "guerriglia comunicativa" basate sull'occultamento del
marchio aziendale e sulla creazione di nuovi simboli. L'apripista di
questo fenomeno e' stata la Nike, che nell'autunno del 2004 ha
inventato dal nulla il "movimento degli skyplayer", ragazzi che
giocano sui tetti delle case di Roma, infilandosi di soppiatto nei
palazzi e facendosi beffe dei portinai. Tutto falso, ovviamente, ma
nel frattempo Repubblica e il Corriere dello Sport ci cascano,
intervistano i sedicenti "ribelli del pallone", vestiti Nike dalla
testa ai piedi, e danno visibilita' ai siti collegati al "movimento"
senza sospettare la longa manus dell'azienda che si nasconde dietro
l'operazione.
Ora l'assalto dei pubblicitari si e' spostato dalle strade al mondo
virtuale delle reti, dove i messaggi commerciali che invogliano
all'acquisto hanno imparato a camuffarsi sotto le mentite spoglie di
blog "alternativi" e movimenti ribelli. È il caso del blog "The Zero
Movement", creato ad arte dalla Coca-Cola per vendere l'idea di una
vita libera, dove le restrizioni e le regole sono pari a zero.
Peccato che il numero zero si riferisse in realta' alle calorie di
una nuova bevanda. I "flog" ("fake blog", blog fasulli) sono uno
strumento collaudato anche dalla Pepsi, che sul blog "That Pepsi
Girl" ha raccontato a utenti ignari la storia di un blogger deciso a
conquistare la ragazza di uno spot Pepsi. Mc Donald's, con il flog
"Lincoln Fry" ha raccontato la bufala di due blogger che avrebbero
trovato una patatina con il profilo di Abramo Lincoln.
Sul sito mediazione.info un recente articolo di Gaia Botta' ha
analizzato in profondita' questo fenomeno, arrivando ad una
importante conclusione: chi vuole fare pubblicita' in rete con nuovi
strumenti di comunicazione fa molto male a nascondere il marchio
della propria azienda spacciando per spontaneo quello che non e'.
Prima o poi i nodi vengono al pettine, e il danno d'immagine e'
irreparabile. Non sta bene prendere per fessi gli utenti di un blog.
[carlo gubitosa]
Personalmente non codivido la chiusa dell'articolo: purtroppo a mio avviso queste strategie di mercato pagano, soprattutto verso tutti quei giovani, più o meno adolescenti, che sono alla ricerca di possibilità di espressione (come già sottolineato in un altro mio post).
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